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Hubner: “La sigaretta mi rilassava. Che esperienze con Baggio e Mazzone” ESCLUSIVA

di Mario Lorenzo Passiatore

Pubblicato il 03/01/2022

L’intervista esclusiva con l’ex attaccante di Brescia e Piacenza durante la diretta Instagram di Calcio Totale, all’interno della rubrica Viaggi Amarcord. L’adolescenza, il titolo di capocannoniere e il rito della sigaretta. “Tra primo e secondo tempo andavo in bagno a fare due tiri. Stemperavo la tensione"

Fino a 20 anni montava infissi e finestre e il calcio era solo un sogno. E’ la storia di Dario “Tatanka” Hubner, il bomber operaio che di pomeriggio tirava due calci al pallone. Questione di priorità e di prospettive di vita, il calcio era uno svago, un modo per socializzare e tenersi in forma. E’ la parabola al contrario di chi non avrebbe mai pensato di giocare un giorno con Roby Baggio, fare più di 300 gol in carriera e detenere un record storico con Igor Protti: gli unici ad aver vinto la classifica marcatori in A, B e C. “A 20 anni giocavo in prima categoria e dovevo lavorare. Non si viveva con i soldi del calcio, si giocava per divertimento. Una pizza, una birra e finiva lì”.

Bisonte per il suo modo di correre, a Cesena diventerà ben presto Tatanka. Il significato è pressoché lo stesso: l’evoluzione di un appellativo da Pergocrema a Fano, il motivo è più semplice di quanto si possa immaginare. “Ero un giocatore con una grande forza fisica e una tecnica tutta da sgrezzare. Io non ho mai fatto un settore giovanile professionistico, il calcio vero l’ho scoperto a 20 anni. Ho avuto la possibilità di migliorarmi ogni anno e fino a 35 è stato così. La mia fortuna/sfortuna è stata quella di essere arrivato tardi. Il giocatore di Fano, non era quello di Brescia o di Piacenza”.

Non ha mai abbandonato le sue vecchie abitudini, nemmeno quando è approdato in Serie A con il Brescia. La sigaretta era un modo per stemperare la tensione, una routine per tenere a bada l’adrenalina e fare sempre meglio di prima.

Entravo la domenica per vedere il terreno di gioco e poi prima di tornare nel sottopassaggio mi fumavo la mia sigaretta, quello non l’ho mai negato. E poi tra primo secondo tempo dopo che parlava il mister, andavo in bagno mi facevo i miei due tiri e rientravo in campo. C’era chi amava farsi i massaggi, io invece mi rilassavo così. Faceva parte del mio mondo, non credo che a 30 anni avrei dovuto nascondermi”. La sigaretta sì, la grappa no. O almeno mai durante una partita, quasi sempre in compagnia e magari dopo cena. “E’ una bufala quella della grappa durante le gare. Certo, la bevevo con gli amici. Come fa tanta gente e vi posso assicurare che c’erano giocatori che bevevano più di me”.

Una carriera in crescendo fatta di gol, esordi, impennate emotive e tante prime volte. Ha fatto centro in tutte le categorie, con la solita tempra e determinazione di sempre. Poche parole e tanti fatti. “A 20 anni giocavo in prima e non sapevo nemmeno cosa fossero gli schemi. A 30 ho debuttato in A contro l’Inter di Ronaldo, a 35 ho vinto la classifica cannonieri. Sono felice di quello che ho fatto. L’unico rimpianto è la Nazionale, però quando giocavo io dovevi fare prima 200 presenze in Serie A e poi forse riuscivi a fare un’amichevole. Oggi, se giochi in Lega Pro e dopo sei mesi fai il salto in A puoi ritrovarti in Nazionale”.

Il suo Brescia, Baggio, Mazzone e la classifica cannonieri col Piacenza

A Brescia ha trovato la sua dimensione, la sua casa e ha avuto il piacere di bagnare l’esordio con gol alla Scala del calcio. Roba da Dario Hubner, uno che in area sentiva e vedeva la porta come pochi. Sul gol più bello risponde tutti, perché ogni rete custodisce con sé una gioia diversa, ma se proprio deve scegliere: “Quello contro l’Inter al debutto in A ma anche quello con il Piacenza all’ultima di campionato”.

Brescia vuol dire Roby Baggio, l’emozione la si legge negli occhi nel descrivere la magia del Divin Codino. Non solo per quello che faceva in campo la domenica ma soprattutto per come l’ha conosciuto lui da molto vicino. “Guardare Roby calciare le punizioni a fine allenamento era una goduria. Su dieci, nove le metteva all’incrocio. Peccavo averlo incontrato a 35 anni come me, non era più quello che partiva da metà campo e andava in porta. Si trascinava i problemi alla schiena e alle ginocchia, ma con lui le partite potevano cambiare in qualsiasi momento”.

Ha respirato abitudini e modi di fare di Carletto Mazzone. Uno che sapeva farsi rispettare mescolando principi tattici a una sana goliardia. Un personaggio schietto e diretto che amava i giocatori tanto quanto i suoi figli. “Lui teneva sempre la tensione alta. Quando si vinceva, il martedì arrivava incazzato per evitare che ci facessimo prendere dall’entusiasmo. Quando si perdeva, invece, era il primo a tirarci su di morale raccontandoci barzellette e aneddoti per sdrammatizzare. Era un maestro nel tenere sempre il gruppo dalla sua”.

Nel cuore del Bisonte resta anche l’esperienza di Piacenza: la salvezza e la vittoria del titolo di capocannoniere in coabitazione con un certo David Trezeguet. Una doppietta all’ultima giornata contro il Verona gli permisero di agganciare l’attaccante francese in vetta e di conquistare la permanenza in serie A. Era il famoso 5 maggio, con la Juve che approfittò della sconfitta dell’Inter in casa della Lazio per laurearsi Campione d’Italia.

Io pensavo a segnare per la salvezza, non sapevo del gol di Trezeguet a Udine. Poi ho fatto due reti ed ero felice soprattutto per il Piacenza e poi per la classifica marcatori”. Il cannoniere più anziano della storia della serie A, prima che Luca Toni riscrivesse ogni record all’età di 38 anni. “Quella serie A aveva attaccanti e difensori più forti. Andavi a Roma e beccavi Samuel - Aldair, alla Lazio Nesta - Stam, al Milan Costacurta - Maldini, al Parma Cannavaro-Thuram. Era un calcio più equilibrato”.

Sembra averne dimenticato uno, in realtà è presente nella lista dei difensori più rudi e cattivi con cui abbia mai giocato. “In serie A non esistono le botte vere. Diciamo che me le sono date quando giocavo in C2 e andavo a Trani, Bisceglie, Cosenza. Le legnate vere, non le spintarelle, le prendi nei campi di periferia. Posso dirti però che in Serie A le battaglie erano con Montero. Ci salutavamo, ci menavamo per 90 minuti e alla fine ci scambiavamo la maglia”. 

Non esiste un nuovo Hubner, con la stessa corsa e la stessa caparbietà di attaccare la profondità. Ma c’è un giocatore in cui Dario in parte si rivede. “A me piace Belotti, perché si dà fare, non protesta mai, incoraggia i compagni. Mi piace il suo modo di giocare”.

Adesso il Bisonte si diverte a calcio a otto e lo fa in un ruolo assolutamente diverso, sempre vicino alla porta ma dall’altra parte. “Ho finito a 42 anni con i dilettanti e ora a 53 faccio il portiere con gli amatori, mi diverto e rischio meno infortuni. Sono contento di essere rimasto sempre me stesso, quello che ha vinto la classifica cannonieri era lo stesso che giocava in prima categoria”.

di Mario Lorenzo Passiatore

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