Serie A

Perché Sarri meritava un’altra chance

di Mario Lorenzo Passiatore

Pubblicato il 04/01/2022

Ci hanno provato ma non si sono mai presi. Seppure con mille difficoltà, Sarri ha vinto (questo bisogna dirlo) quasi da ospite e con pochi margini di diventarne padrone

Ci sono scelte che vanno sostenute e difese, specie se sono frutto di un’idea partorita 365 giorni prima. Alla base, Sarri è stato preso anche e soprattutto per il suo integralismo, per portare una rivoluzione concettuale e di idee all’interno di un mondo ermetico e già forte di suo.

La mission quasi impossibile di Maurizio non era solo vincere, ma farlo bene con quello che aveva già tra le mani, entrando in punta di piedi. E soprattutto, convincere più di 20 giocatori che avevano vinto e dominato, a cambiare metodo e seguire i suoi dogmi. Questo è stato il primo scalino, che nel tempo è diventato un Everest con la nebbia nei peggiori inverni di gennaio.

La Juve gli aveva chiesto di rompere con il recente passato (vincente). Non è arrivato per fare il gestore né per adattarsi al materiale umano, ma per incidere in un certo modo, magari entrando nella testa e nella disponibilità dei giocatori. Disponibilità, ecco, a patto che ci sia stata e su questo i dubbi sono forti, reali e profondi. Tolte le due gare con l’Inter e i primi 60 minuti allo Stadium col Napoli, Sarri pensava e credeva di cambiare la Juve (con l’appoggio di società e squadra) ed è finito per cambiare in parte sé stesso, per arrivare sano e salvo quanto meno alla meta scudetto.

Le rivoluzioni partono dal manico (l’allenatore), ma non si fermano al manico, altrimenti si chiamerebbero semplici avvicendamenti. E allora la Juve si è fermata a metà percorso, o forse a un quarto di strada, non sostenendo più l’uomo (con i suoi modi) e l’allenatore (con i suoi dogmi).

Eppure, che Sarri avesse la polo e non la camicia lo si sapeva fin dal principio. Che Sarri comunicasse con pochi filtri e tanti bip lo si sapeva già dai tempi di Napoli. E’ stato scelto in nome del campo e delle sue idee, rinunciando all’aplomb, all’immagine e alla leadership comunicativa dei suoi predecessori. Una scelta consapevole del management, quello di incontrare un pianeta diverso e provare a prenderne il meglio.

Insomma, ci hanno provato ma non si sono mai presi. Seppure con mille difficoltà, Sarri ha vinto (questo bisogna dirlo) quasi da ospite e con pochi margini di diventarne padrone. Maurizio sapeva di essere al capolinea già dopo la vittoria ​scudetto, quando al termine di Juve-Samp ha lasciato il campo al triplice fischio, tornando mestamente nello spogliatoio. Certe cose le annusi, le respiri nell’aria, le intuisci dallo sguardo dei giocatori, di chi storicamente è sempre stato vicino alla società e all’ambiente Juve.

I cambiamenti, a patto che la Juve ci abbia creduto davvero, necessitano di tempo e uomini. Ecco il vero peccato di umiltà dell’uomo Sarri: quello di non aver lasciato un post-it con due nomi sul tavolo. Forse perché non c’era tempo, forse perché credeva di non avere la forza per farlo il primo anno. In nome del progetto, sarebbe stata questa la campagna acquisti da disegnare in sinergia con la dirigenza. Per dire, seppur con toni non da Juve, che per sostenere certe idee servono giocatori in linea con la filosofia. Altrimenti i due mondi rischiano di incontrarsi solo per entrare definitivamente in rotta di collisione.

di Mario Lorenzo Passiatore

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