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Kaladze e la morte del fratello Levan: 'Mi allenavo e pensavo a lui, il momento peggiore...'

di Claudio Ruggieri

Pubblicato il 27/02/2023

L'ex difensore del Milan, oggi sindaco di Tbilisi, raccontò la storia del fratello Levan, prima rapito e poi ucciso. Un dramma terribile che ha segnato la sua carriera da giocatore, come ha rivelato lo stesso ex giocatore.

Oggi è il compleanno di Kakhaber Kaladze, ex difensore del Milan ai tempi di Ancelotti, un giocatore importante per la formazione rossonera. Un simbolo per tutta la Georgia, sia come ex Ministro dell'Energia e delle Risorse Naturali e poi come sindaco di Tbilisi, attualmente in carica.

Nove anni al Milan, due Champions vinte, ma soprattutto il dramma del fratello Levan, rapito e poi ucciso. Cinque lunghi anni in cui Kaladze ha provato in tutti i modi a riportare a casa il fratello. Lo ha raccontato nel libro "Demoni" di Alessandro Alciato, in cui rivela quello che ha provato.

"Mio fratello è stato rapito da persone in divisa che si fingevano poliziotti, mentre tornava a casa dall’Università. Levan, studente ventenne, era cardiopatico, portava in mano una boccetta con una medicina, così due falsi poliziotti lo hanno avvicinato: 'questa è droga, vieni con noi'. 

Noi in segreto trattavamo con i sequestratori: non è eticamente corretto forse, però quando staccano un pezzo di te non puoi fare altrimenti. Il tempo passava, io piangevo, mi disperavo, poi mi arrabbiavo e dopo ripiangevo. Arrivavano telefonate, ci chiedevano soldi, certe persone si spacciavano per emissari, dicevano di poter liberare mio fratello. E noi pagavamo.  

Mi allenavo e pensavo a Levan, giocavo le partite e pensavo a Levan. Il momento peggiore era la notte: non dormivo, fissavo il soffitto, impazzivo cercando una via d’uscita. Avrei fatto qualsiasi cosa per rivedere mio fratello, avrei pagato qualsiasi cifra. Poi ad un certo punto i rapitori sono scomparsi. Spariti. Per cinque lunghi anni. Fino al giorno in cui mi hanno telefonato dicendomi che avevano ritrovato mio fratello. Il cadavere di mio fratello. 

Io amavo il calcio e avrei continuato a giocare per altri anni ancora. Ma ho sentito troppo forte il richiamo del mio paese. Volevo provare a cancellare le cose brutte della Georgia. Più che un bisogno lo sentivo un dovere. Nel nome di Levan".  

di Claudio Ruggieri

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