Il rebus è doppio, perché oltre a dover svelare cosa si cela dietro l’interpretazione
dei sogni, tocca anche provare a capire che ne sarà del futuro di uno dei
principi del gol a tinte tricolori, uno che la Storia l’ha scritta, fatta e firmata, al Maradona come a Stamford
Bridge, allo Juventus Stadium
piuttosto che al San Mames.
Se gli indizi sin qua seminati non sono sufficienti ad accendere la lampadina,
potremmo provare per l’ultima volta ad aiutarvi, perché il lob paradisiaco ma
carico di fiele con il quale si appunta sul petto la medaglia del gol al Mondiale 2010 è una ciliegia bella ma
indigesta, che resta a metà tra gola e stomaco, col rischio di dove ricorrere
alla Manovra di Heimlich.
Ancora
nulla? Allora provate d’intuito, ci riuscirete di sicuro, perché nella
pinacoteca privata di ogni calciofilo che si rispetti non può non esserci una
tela griffata dall’ Artista del Gol. Tutti
in piedi, espone Fabio Quagliarella.
La destinazione
La voce rimbalza con prepotenza da casa sua, dal suo
giardino, o meglio da quello che era il suo habitat di bambino sognante. Castellammare di Stabia, terra di
attaccanti e grandi portieri sogna, perché? Perché almeno sino a quando non
bisognerà eventualmente mettere nero su bianco, sognare non costa nulla. E
allora tanto vale farlo in grande con i tifosi delle Vespe che lo acclamano e
già immaginano il quarantenne “Professore” ex Juve, Napoli e Torino e Samp, in piedi sui cartelloni del Romeo Menti
a braccia larghe mentre si gusta l’odore del primo gol fatto in casa.
Quaranta abbiamo detto? Si, quaranta
come le candeline spente da “Eta Beta”,
che però di smettere pare non averne proprio voglia, e come dargli torto, dopo
una stagione logorante, in A, con la peggiore
Samp degli ultimi quindici anni, Fabio potrebbe scegliere di riprovarci, proprio
da dove tutto è nato, con la dirigenza della Juve Stabia che sorniona attende un cenno,
come a dire: “Quagliarella? Ah se lui vuole, non gli diremo di no”. E vorrei vedere.
A che pagina eravamo? Ah, uno. Parliamo del gol triste e solitario come il passero, messo a
referto nell’ultima travagliata stagione vissuta all’ombra della Lanterna, dove
nonostante l’età e gli acciacchi ha messo assieme 23 presenze, con i galloni del capitano ben in vista. Orgoglio e
appartenenza doriana, quelle del vecchio Fabio, capitano sino all’ultimo
istante, sino a sentire di essere con il
culo nell’acqua, sbalzato fuori da una nave, che in un paese normale non
avrebbe nemmeno dovuto prendere il largo.
Il difficile viene ora, perché centottantadue, spaccato a metà fa novantuno, che però nella
Smorfia non esiste e allora tocca accontentarsi del 90, che anche in questo caso fa paura. La paura del ritiro, quella a cui non vogliono pensare i grandi
campioni, quella della sindrome dell’abbandono, quella di cui soffrono gli
eterni Peter Pan. Poco male Fabio, non siamo qui per giudicarti, anzi, un
consiglio te lo diamo, continua ad aver
paura di diventare grande e resta in campo a deliziare l’Italia (numero 82,
della Smorfia, proprio come l’anno di nascita del Quaglia, ndr) con il tuo
destro a giro, col piazzato di testa, piuttosto che con la consueta freddezza
con la quale ha giustiziato mezz’italia. Noi,
almeno noi, te ne saremo grati, in eterno. #FabioStay!
di
Dario Gallitelli