Il Taranto
di Eziolino Capuano è quinto in classifica nel girone C di Serie C a soli due
punti dal secondo posto. Un rendimento importante che ha convinto anche i più
scettici a ritornare allo stadio: dai 300 della passata stagione ai 13mila
delle ultime gare interne. Un vero e proprio successo dal punto di vista della
passione e del coinvolgimento emotivo.
La rinascita
di una piazza che adesso torna a sognare e a sperare con il suo condottiero.
Taranto nelle mani di Capuano, il leader che la città ionica cercava da anni
per ripartire verso nuove ambizioni. In queste ore, Eziolino ha rilasciato una
lunga intervista al Corriere dello Sport e ha toccato un serie di argomenti interessanti. Dal ruolo
dell’allenatore al rapporto con staff e calciatori.
“L’allenatore deve avere più
componenti. L’allenatore è quello che non dorme. E’ come un bravo chef, deve
saper cucinare con gli ingredienti che ha. Deve gestire 30 esseri umani, deve
essere autorevole e autoritario. Più bassa è la categoria e più difficile è
fare l’allenatore. Devono ritenerti credibile, poi devono ritenerti bravo. A
quel punto i calciatori ti seguono. In caso contrario ti ritengono un fallito o
semplicemente una brava persona”.
Il
temperamento e il carattere di uomo che non ha mai fatto nulla per nascondere
il suo modo di essere, spesso e volentieri anche a microfoni accesi. “Sono sempre rimasto me stesso dal punto di
vista della dignità e della coerenza. Dico quello che penso con grande
schiettezza. Se fossi stato quello di adesso in passato, avrei fatto un'altra carriera.
Spesso lo dico anche ai miei giocatori: ho il gemello scemo. Quando faccio un’esternazione
forte, poi mi rivedo e mi vergogno di me stesso. E’ una citazione di Carletto Mazzone.
E vale lo stesso per me”.
L’essenza
della partita, il trasporto emotivo e lo stress della panchina in grado di
creare situazioni contrastanti nell’arco dei novanta minuti. “Vivo il calcio come l’attesa
del sabato del villaggio di Leopardi. Ho una discreta cultura e ho sempre
cercato di migliorarla. Per me la partita è attesa, nel momento in cui ottieni la
gioia, poi non si concretizza mai, ti rimane sempre la sofferenza. Tu fai un
gol ed è l’apoteosi. Poi dici, e se la pareggio? Non riesci nemmeno ad
esultare. E’ la stessa cosa della paura. Vuol dire avere coraggio. Anche una
sostituzione, una scelta. Se pensi sempre a tutto non fai mai nulla”.
La nuova
avventura a Taranto: una nuova rivincita a distanza di un ventennio. “Taranto l’ho rivoluta. L’ho aspettata 21
anni. La prima volta ero un bimbo con Pieroni. Quando mi esonerarono dissi: ‘qui
ci ritornerò’. Quando Giove mi ha chiamato, ho pensato: ‘ecco quel momento, è
arrivato’. Ho salvato quella squadra e per un gol non l’ho portata ai play off.
Adesso stiamo facendo qualcosa di importante”.
di
Mario Lorenzo Passiatore