Calcio Totale Racconta

Dal rifugio bunker alle 27 ore di viaggio: il racconto di un assistente di De Zerbi

di Mario Lorenzo Passiatore

Foto di Wikimedia Commons

Pubblicato il 01/03/2022

Il dirigente italiano ha raccontato l’esperienza traumatica del viaggio di ritorno e la permanenza in Ucraina quando la guerra era già cominciata: “Due di noi hanno rischiato, c’è stata una forma di eroismo per aiutare i bimbi”

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Carlo Nicolini, direttore sportivo dello Shakhtar Donetsk, ha parlato in esclusiva a La Gazzetta dello Sport dell’avventura in Ucraina e della fuga verso l’Italia dopo aver vissuto ore concitate con tutto lo staff italiano. 27 ore da Kiev a Bergamo: un viaggio lungo ed estenuante che è durato più di un giorno. Momenti che hanno segnato lo staff italiano, costretto a proteggersi prima e poi a organizzare il viaggio di rientro mentre la guerra ormai era già in corso su tutti i fronti. Il dirigente ha raccontato con estrema lucidità tutti i particolari.

“Quando abbiamo saputo che i russi erano entrati, abbiamo provato a convincere in tutti i modi i brasiliani. Gli abbiamo spiegato che partire alla disperata in macchina non era la soluzione migliore. Con le famiglie, con i bimbi, senza acqua e senza rifornimento di benzina sarebbe stato un dramma. Così abbiamo cercato di organizzare una fuga in sicurezza. Gli stati d’animo cambiavano spesso: quando si diffondevano news di una possibile tregua si esultava come un gol. Poi però cinque minuti dopo arrivava la notizia del coprifuoco e ci invitavano ad andare nel bunker. Con le mogli dei giocatori che prendevano i bimbi in lacrime, distrutti da quello che stava accadendo”.

Poi ha raccontato un episodio che solo al pensiero mette i brividi. Sono usciti durante gli attacchi in città perché i bimbi avevano bisogno di supporto.

“Avevano finito il latte e i pannolini, due di noi hanno rischiato e hanno fatto un giro al supermercato per fare una piccola scorta per i bimbi dei brasiliani. C’è stata una forma di eroismo da parte di tanti. Eravamo in contatto con l’ambasciata italiana che potevo fare poco concretamente, se non darci sostegno morale. L’organizzazione è stata nostra”.

Il viaggio è stato organizzato nei minimi dettagli con tutte le fermate da fare e i mezzi da prendere. Un piano stilato per provare a rientrare in Italia da vivi.

“Il giorno prima abbiamo fatto partire i brasiliani, più che un viaggio è stata un’odissea. Poi siamo rimasti in dieci, il gruppo degli italiani. Nonostante ci fosse il coprifuoco, avevamo organizzato il treno da Kiev a Leopoli, poi da lì prendevamo un mini bus che ci avrebbe fatto oltrepassare le due dogane: quella ucraina e quella ungherese. Dall’altra parte ci attendeva un pulmino del Ferencvaros che ci avrebbe portato a Budapest: ci aspettava un areo privato con destinazione Bergamo”.

Ovviamente Nicolini si augura che Russia e Ucraina possano raggiungere il prima possibile un accordo. E’ in ansia per tutti i giovani ucraini tesserati con lo Shakhtar.

“Il nostro pensiero va ai ragazzi ucraini che sono rimasti lì e non possono uscire. Fa male che tanti nostri ragazzi siano lì, fa male. Li sentiamo sempre, cerchiamo di avere più informazioni possibili e speriamo che tutto questo possa finire”.

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