Anni 74, di cui 22 trascorsi sulla panchina dell’Arsenal. Una vita
nella vita, più di una storia nella storia. Capita(va) anche questo nel calcio
a cavallo tra gli anni ‘80-90, quando una squadra poteva segnare un solco nell’anima
di un allenatore o di un calciatore. Le cose cambiano, il mondo si evolve e i
comportamenti ne sono una naturale conseguenza.
Wenger resta un fuoriclasse della panchina che con i suoi toni
pacati e il modo di fare calcio ha cambiato in quel momento la visione della
Premier League. Nel corso della sua carriera non sono mancate le proposte. A
bussare alla porta è stato proprio il Real Madrid che più volte ha provato a
portarlo via dai Gunners, senza riuscire a scalfire le certezze di Wenger.
L’Arsenal
era una missione, un progetto, un pezzo di cuore da condurre e spostare,
traghettare da Highbury al nuovo Emirates. Un piano condiviso in toto con il
club, un sogno da realizzare in una nuova casa più accogliente per i tifosi.
Come racconta nel corso dell’ultima intervista rilasciata a BeIN Sports.
“Il Real Madrid ha provato a ingaggiarmi due o tre volte. Oggi, a
volte, mi chiedo se abbia fatto davvero la cosa giusta rifiutando il Real
Madrid, ma a quel tempo mi sentivo come se fossi in un club ideale (l'Arsenal, ndr). Ho dimostrato impegno, lealtà e che si può arrivare alla fine di
un progetto. Non ho cercato la gloria immediata, ho cercato qualcosa di più
profondo". E poi ha concluso: "Ero coinvolto in un
progetto per costruire il nuovo stadio che avrebbe sostituito Highbury e doveva
essere finanziato. Abbiamo pagato tutto noi, non abbiamo ricevuto aiuto da
nessuno. Per questo non sono andato al Real Madrid, volevo portare a termine quel progetto".
di
Mario Lorenzo Passiatore