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Un ex United confessa: “A forza di bere sarei morto, una volta ero in una stanza buia e…”

di Mario Lorenzo Passiatore

Pubblicato il 06/11/2022

Ha indossato la maglia dei Red Devils durante l’interregno di Alex Ferguson e ha avuto il coraggio di raccontare uno spaccato della sua vita, segnata da alcol e depressione: “La roba che bevevo e il modo in cui la bevevo rischiavano di non farmi svegliare la mattina…”

Sembrava l’identikit di Roy Keane, almeno tanti episodi tracciati nella sua biografia è come se si replicassero nelle storie raccontate da un suo vecchio compagno di squadra. Il nome è praticamente lo stesso: Roy, e pure i problemi nel corso della carriera sono sostanzialmente analoghi. Si tratta di Carroll, estremo difensore nord – irlandese che ha collezionato oltre settanta presenze dal 2001 al 2005 con la maglia del Manchester United.

Ha rilasciato una lunga intervista al DailyMail raccontando il periodo successivo ai Red Devils. Quando è approdato al West Ham ha dovuto fare i conti con un infortunio abbastanza importante alla schiena, amplificato poi dalla depressione e dai continui problemi con l’alcol. Una storia di vita che si mischia tremendamente con il lavoro e la sua strana routine sportiva.

“Era diventata un'abitudine. Può succedere a chiunque sia depresso e abbia disponibilità di alcol a casa. E a un certo punto non vuoi altro che farti un paio di birre. Poi va sempre peggio. Ogni giorno sono sempre di più e diventi dipendente. Non mi era mai successo prima di avere un infortunio grave e quindi mi sentivo come se stessi cadendo sempre di più in un buco. Era un qualcosa a cui non ero mentalmente preparato. Ero in una stanza buia e bevevo, fuori non avevo nessuno che mi aiutasse. Nessuno sapeva nulla, perché non ne parlavo mai. Tutti pensavano che fossi la persona più felice del mondo, mentre invece andavo a casa, chiudevo la porta, sbattevo la testa al muro, bevevo qualcosa e cercavo di dimenticare.

Ha provato a risolvere i suoi problemi da solo senza riuscirci fino in fondo. Così poi ha trovato il coraggio di farsi aiutare, anche perché ormai tante cose erano evidenti e sotto gli occhi di tutti. “L'importante per me era liberarmi dalla depressione e ci vogliono parecchi drink per farlo. Ma poi il giorno dopo stavo peggio e quindi tornavo a bere. È una cosa che non funziona. Sono andato a disintossicarmi perché me l'hanno chiesto altre persone: mia moglie, il mio procuratore e i miei amici. Ma io non ci vedevo nulla di strano o di sbagliato, quello era il mio problema".

C’era un piccolo trucchetto che serviva un po’ per mascherare le sue debolezze in prossimità delle partite. Nonostante all’interno dello spogliatoio tante cose fossero già abbastanza chiare. “Quando ero sotto contratto con una squadra facevo sempre in modo di non bere il giorno prima di una partita. Ma poi, quando ho smesso di giocare e nessuno mi voleva più, bevevo tutti i giorni. Avevo molto tempo libero e bevevo come un pazzo. Se non mi fossi fermato oggi non sarei qui, non credo che il mio corpo avrebbe retto. Non sono mai arrivato a un punto in cui ho pensato di uccidermi, sono stato fortunato, ma probabilmente sarei morto a forza di bere. La roba che bevevo e il modo in cui la bevevo rischiavano di non farmi svegliare la mattina. Ma adesso non mi interessa più dell'alcol. I primi quattro o cinque anni sono stati complicati, ma ora non ne ho più bisogno”.

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