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Costinha: “Mou unico. Vi svelo il segreto di Cristiano Ronaldo" ESCLUSIVA

03/01/2022

di Mario Lorenzo Passiatore

L’intervista esclusiva dell’ex centrocampista di Porto e Atalanta durante la diretta Instagram di Calcio Totale, all’interno della rubrica Viaggi Amarcord. Le vittorie con Mou, il titolo sfiorato con il suo Portogallo e i consigli a un giovane CR7. “Cristiano è una sfida continua. Sceglieva il più forte e lo sfidava fin quando non riusciva a batterlo”

Il suo nome è legato indissolubilmente al super Porto di José Mourinho. Ministro per gli amici, per il suo modo di essere e di vestire, quasi sempre in giacca e cravatta. Costinha per il Mondo, sintesi di un nome lungo e importante (Francisco José Rodrigues da Costa), quasi come un’autorità politica. A spiccare durante l’intervista è proprio il suo carisma, allo stesso modo di quando dominava visivamente il rettangolo verde. Una vita costellata di successi, dalla coppa Uefa della stagione 2002-2003 alla Champions dell’anno successivo, in finale contro il Monaco di Didier Deschamps. Una storia che si intreccia con quella di un giovane Mourinho, arrivato sulla panchina dei Dragoni a 39 anni. “Mou ha portato una mentalità diversa al gruppo di lavoro. Ci aveva abituato a interpretare le gare con la stessa intensità, sia con il Real Madrid che con la squadra più piccola del campionato portoghese”.

9 marzo 2004 è la data che cambia la storia di quella Champions. Costinha segna all’Old Trafford il gol dell’1 a 1 al minuto 90 su un errore di Tim Howard. Il Porto rovescia l’epilogo di una gara e di un pronostico che sembrava già scritto. Lo Special One con il suo super cappotto talismano lascia l’area tecnica per raggiungere i suoi uomini verso la bandierina. “Al momento del sorteggio tutti ci davano per spacciati. Quella punizione non doveva batterla McCarty. Su di me c’era Wes Brown in marcatura e su Maniche c’era John O’Shea. Chiesi di scambiarci, con quella mossa, in meno di un minuto, cambiammo l’esito del match. Ne approfittai della respinta corta per fare gol. Non mi accorsi nemmeno della corsa di Mourinho, fui sommerso dai compagni”.

Al rientro negli spogliatoi i complimenti, gli abbracci di rito e poi in meno di un minuto riportò tutti nella giusta dimensione per evitare che l’euforia prendesse il sopravvento sulla realtà. “Ci disse che non avevamo fatto nulla. Era solo uno step e che per vincerla avremmo dovuto mantenere sempre la stessa concentrazione”.

Nel 2003 si fece avanti la Juve pronta a tentare Costinha. Il suo sogno era quello di giocare in Italia, il massimo per uno cresciuto con i video del Milan di Sacchi e la Samp di Vialli e Mancini, ma qualcuno lo venne a sapere e si mise di traverso. “Mourinho lo aveva intuito e mi chiamo: ‘Tu credi in me? Io ho due proposte di due squadre inglesi e una italiana. Rimaniamo insieme qui un’altra stagione, vinciamo scudetto e Champions e poi andiamo via. Che ne dici?

Alla fine ha avuto ragione lui e con il suo savoir-faire riuscì ad ammaliare il centrocampista portoghese, che senza batter ciglio restò con la maglia dei Dragoni. “Ho accettato la sua proposta. Mourinho è sempre stato uno schietto e diretto. Al calciatore piace la lealtà, nessuno poteva dirgli nulla. Lui diceva una cosa e faceva esattamente quella, sia con un giovane che con uno esperto”.

Fu un biennio magico che portò sei titoli in due stagioni e mezzo. Anche se, c’è una partita che il Ministro rigiocherebbe subito per cambiarne il risultato. Portogallo-Grecia, finale Euro 2004. Stadio Da Luz di Lisbona, praticamente davanti ai tifosi di casa. “Con la Grecia perdemmo la prima partita e l’ultima (la finale). Con la vittoria del 2016 il Portogallo ha un po’ riscattato quella serata, ma resterà sempre l’amaro in bocca per quella notte”.

Era il Portogallo di Deco, Rui Costa, Figo e di un giovane Cristiano Ronaldo. Impossibile sceglierne uno, un full di qualità in grado di abbuffare qualsiasi platea. “Deco usciva dalla cabina telefonica con quattro persone dentro. Per Rui Costa vale il concetto del cinema. Vai, paghi il ticket, ti accomodi e guardi lo spettacolo solo per lui. Figo era Figo, un giocatore speciale”.

Sul diciannovenne CR7 c’era già un libro da scrivere a Euro 2004. Per come si rapportava con il gruppo, sempre pronto a chiedere consigli e a fare sedute suppletive di allenamento. Una macchina in costante movimento con l’ossessione di alzare continuamente l’asticella. “In nazionale avevamo sempre l’allenamento fissato alle 17, lui veniva nella mia stanza due ore prima, alle 15, perché voleva fare palestra e allenare la forza. Si presentava tutti i giorni, anche quando volevo dormire. Poi durante l’allenamento con la squadra, sceglieva il più forte in marcatura, solitamente Fernando Couto, e lo sfidava ripetutamente fin quando non riusciva a superarlo. Faceva la stessa cosa con il più veloce del gruppo, lo sfidava fin quando non raggiungeva l’obiettivo. Cristiano Ronaldo è una sfida continua”.

Qualche anno dopo andò a trovare Mourinho al Real, Costinha era il dirigente del Servette. Si trovò nel pieno di una sessione di allenamento che ben presto si trasformò in una partita tra CR7 e il resto del gruppo. “I giocatori del Real si sfidavano sui tiri in porta: su 20 tiri, Casillas ne parò solo uno a Ronaldo ed esultò come se avesse vinto una gara. Gli altri avevo avevano fatto 6-7, Ronaldo 19. Nonostante tutto era arrabbiatissimo, voleva fare 20. Ha lasciato il campo ed è andato via in quello libero per calciare da solo. Mou voleva richiamarlo poi preferì lasciarlo sfogare”.

L’approdo in Italia

Tre anni all’Atalanta e una solo presenza all’attivo. L’avventura del Ministro nel Belpaese è stata avara di soddisfazioni. Eppure il centrocampista portoghese ha fatto di tutto pur di approdare a Bergamo. “Quando mi ha chiamato Del Neri che allenava l’Atalanta, ho detto subito di sì. Io volevo andare in Italia, era il mio sogno. Ho fatto un sacrificio, mi sono dimezzato lo stipendio per andare all’Atalanta. Ma c’era gente della società che non era d’accordo sulla cifra pattuita e dopo aver firmato il contratto, il presidente Ruggieri mi chiese di tagliarmi ulteriormente lo stipendio della metà. Io rifiutai perché avevo già dimezzato lo stipendio per venire in Italia e così dopo mi sono ritrovato fuori rosa. Costinha non era infortunato come scrivevano i giornali. Mi sono infortunato all’inizio, poi mi sono sempre allenato a parte per scelta della società. Nonostante questo, ho la Dea nel cuore, ho conosciuto tanto amici e conservo dei bei ricordi dei tifosi e della città”.

di Mario Lorenzo Passiatore

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