Un biennio incredibile a Vicenza, a un passo dal sogno europeo chiamato Coppa delle Coppe. Ha lasciato il segno a suon di gol prendendosi lo scettro di miglior realizzatore della competizione. Pasquale Luiso, la scalata del ‘Toro di Sora’ dai campi di terra fino al gol allo Stamford Bridge. I brividi di una semifinale europea contro il Chelsea degli italiani Vialli e Zola e le speranze di un Romeo Menti gremito per sostenere la cenerentola Vicenza. Alla Coppa delle Coppe vi partecipavano i vincitori delle Coppe nazionali. Al Vicenza riuscì l’impresa di trionfare in Coppa Italia nella stagione 96-97, staccando di fatto il pass per la competizione europea. Una pagina di storia a cui Luiso resta particolarmente legato. Specie per chi è partito dai dilettanti facendo su e giù in treno per gli allenamenti, sempre per alimentare il sogno.
Il colpo di testa era la specialità della casa. Sei diventato ben presto il ‘Toro di Sora’. Chi ti attribuì il soprannome?
“Erano quelle le mie caratteristiche. Diciamo che ho trovato giocatori che lavoravano tanto sull’esterno per poi crossare in area. Io avevo già quell’istinto di andare a colpire di testa e poi con gli anni è diventato un marchio di fabbrica. Toro di Sora perché quando sono andato via da Sora, sono passato al Torino e mi hanno ribattezzato Toro per la nuova squadra, di Sora perché venivo da lì. E’ molto semplice”.
Stagione ‘97-98, il Vicenza di Luiso a un passo dal sogno: a un pelo dalla finale di Coppa delle Coppe. 1 a 0 al Menti con un super gol di Lamberto Zauli e poi a Stamford Bridge subito in gol Luiso, ma il Chelsea degli italiani Vialli e Zola riuscì a farne 3. Raccontaci le emozioni della doppia sfida.
“L’andata è stata favolosa, forse avremmo dovuto chiuderla lì ma non ci siamo riusciti. Un’apoteosi al Menti, dopo 22 anni ancora ne parlano in città. La gente ricorda quella partita con grande emozione. Al ritorno siamo passati in vantaggio con un mio gol, poi ce ne hanno annullato uno che poteva metterli ko. Alla fine c’è stato un black out nostro, il loro terzo gol nasce da una rimessa del portiere. Abbiamo pagato la nostra inesperienza, ma è stato un grande viaggio”.
Prima di quella notte, avevi mai visto il Romeo Menti così gremito? Avete scritto una bella pagina di storia.
No, mai visto il Menti così. In serie A arrivava la Juve, il Milan, l’Inter e lo stadio si riempiva. Ma così no, erano uno sopra l’altro. Per darvi la dimensione di quello che si respirava in città, siamo partiti due ore mezzo prima altrimenti non saremmo arrivati in tempo per giocare. C’era attesa, calore, passione.
Avevate un rito scaramantico?
“Quando giocavamo in coppa partivamo sempre con i voli charter. Fabio Firmani al ritorno di ogni trasferta si metteva all’ingresso della porta dove guidava il pilota e imitava Carlo Verdone. Lo faceva benissimo e ci siamo fatti un sacco di risate. Era diventato un rito, era una cosa che portava bene”.
In quella stagione sei stato il capocannoniere della Coppa delle Coppe. Il massimo per chi è partito dai dilettanti ed è poi arrivato in Europa.
“Oggi abbiamo la favola di Ciccio Caputo. Sono delle storie bellissime. Io arrivavo dai campi di terra e in pochi anni mi sono ritrovato a far la guerra con Cannavaro e Nesta. Non sono cresciuto nei settori giovanili, per cui arrivare li è stato un sogno. Mi sono formato per strada. Mi mettevo in treno e facevo Aversa-Afragola a 16 anni per allenarmi nella Beretti, ho debuttato in C nell’86. Tornavo alle 21 in treno dagli allenamenti, da solo. Non so oggi quanti siano disposti a farlo. Solo chi ha fame davvero ed è quello che cerco di spiegare oggi da allenatore ai ragazzini. Ormai c’è papà ovunque, se non c’è si rinuncia a fare qualcosa”.
Quel Vicenza era più di una squadra. Tutti hanno fatto il tifo per voi in quella stagione. C’era gente che poi si è affermata come Massimo Ambrosini o che ha avuto una carriera da allenatore come Mimmo Di Carlo.
“Certo, anche Coco, Baronio e Mirko Conte. Ambrosini si vedeva che era pronto. Era pronto perché era già uomo. Sapeva allenarsi, conosceva il sacrificio. A 20 anni sapeva già dare valore alle cose, questa è la differenza e poi ha fatto la carriera che ha fatto, non è un caso. Di Carlo ha fatto la gavetta: C1, C2 e via dicendo. Ha navigato e ha spalato tanta cacca. Adesso è tornato a casa, a Vicenza dove è amato, non so se più di me (ride) ma sicuramente lo è. Lui più di tutti può spiegare la Vicentinità e cosa significa indossare quella maglia”.
Estro e fantasia al servizio della squadra. Nonostante il fisico da prima punta, Lamberto Zauli aveva una classe smisurata. Lo testimonia il gol contro il Chelsea al Menti. E’ il giocatore più forte con cui hai giocato?
“Talento puro. Da dietro le quinte non sapevate che si allenava poco e mangiava come un bue. Purtroppo, lo dico con grande rammarico. Poteva giocare alla Juve, al Milan. Lui lo sa, sa che aveva le potenzialità per esprimersi in una big. Tecnicamente aveva tutto e sapeva farsi valere fisicamente. Diciamo che il talento vero si è visto a Bologna e a Palermo. Da fermo era impressionante, con la sua falcata riusciva a metterti in difficoltà. Ce ne sono pochi come lui, pochissimi, per questo ti dico che è il più forte con cui abbia giocato. Sono stato fortunato perché ho avuto tre giocatori forti che mi giravano intorno: Zauli a Vicenza, Flachi alla Samp e Criniti all’Avellino. Altro fenomeno che non ha fatto carriera”.
Quanto è stato importante Francesco Guidolin nel tuo percorso di crescita?
“Tanto, mi ha fatto crescere tatticamente. E ti dico che litigavamo spesso perché mi chiedeva di coprire la palla e fare un certo tipo di lavoro. Allora un giorno gli dissi: ‘Mister, mi dispiace ma io non sono Murgita’. E lui si arrabbiava. Io facevo bene il corto-lungo, andavo in profondità, volevo la palla lunga per andare a fare la guerra. Di Carlo mi sosteneva sempre quando discutevamo. Una cosa l’ho capita, che per entrare nei cuori della gente devi sudare”.
Quali sono i progetti futuri di Pasquale Luiso?
“Vorrei allenare, ma non mi fanno allenare (ride). Ho fatto l’Eccellenza, la C e la B. Sono due anni che sono al palo. Vorrei trovare qualcosa tra i professionisti. Ne soffro, però mi aggiorno e vedo tante partite. Ho avuto l’opportunità a Vicenza nell’anno del fallimento. Ho allenato la primavera. Il mio sogno è tornare a Vicenza ad allenare, magari quando il mio amico Di Carlo si stancherà. Ora devo continuare a fare esperienza. Ci sono dinamiche che devi accettare e bisogna farsi trovare sempre pronti”.
di
Mario Lorenzo Passiatore