“Cinque a uno per
loro. Quello dei quattro gol di Montella, te lo ricordi? Ecco, se conosci Roma,
capisci che non è stato un derby ma ‘na tragedia per mezza città”.
Una fantastica tragedia, perché al netto dell’ossimoro è proprio dalle macerie
della Lazio di Cragnotti (semicit. Carlo Zampa, ndr) che parte la storia del Re
indiscusso dei bomber di provincia, mister 178 reti in C. Signori e signore,
Felice Evacuo.
“La A? Un sogno. Avevo diciannove anni – attacca il carnefice di mezz’Italia
della terza serie -, tu immagina un ragazzo della Primavera che ogni giorno
tocca con le proprie mani i campioni, quelli veri eh. La mattina ti alleni con
Nesta, Mihajlovic, Stankovic e Claudio Lopez, poi al pomeriggio becchi Simeone,
Stam, Mendieta, Fiore e Crespo, ecco questo era il mondo in cui ero capitato.
L’esordio lo faccio a Torino, quindici minuti contro il Toro ma il 17 marzo
tocca gestire a livello emotivo la prima da titolare. In realtà, io nemmeno
l’avevo capito che toccasse a me giocare dall’inizio. C’era il Brescia di
Mazzone, ed era la domenica dopo il derby perso 5-1, una disfatta e Zaccheroni
decide di mandare un segnale forte a tutta la squadra: una settimana di ritiro,
non mi ricordo dove fosse, ma ricordo la durata. Riunione tecnica, Zac legge la
formazione ed io con la testa da un’altra parte aspetto che finisca di parlare
e raggiungo lentamente la bacheca per vedere se il mio nome è tra quelli in
panca oppure in tribuna. Niente, non ci sono ma all’inizio non capisco, mi
guardo intorno e incrocio lo sguardo di Cinquini che mi fissa e mi chiede
perché non mi stessi preparando. Preparando, penso? Per cosa? A cosa si
riferisse l’ho capito dopo qualche secondo: Stankovic a sinistra, Poborsky
sulla destra, davanti Crespo – Evacuo. Gioco un tempo poi entra El Piojo.
Brividi”.
“A Firenze ero giovanissimo ma l’incontro con Christian per
me è stato calcisticamente un tappo. Niente da recriminare ci mancherebbe, perché
è chiaro, hai Riganò al top della forma e Felice Evacuo a 21 anni, tu chi fai
giocare? Allora vai in panchina e accetti la scelta. Calciatore assoluto, è uno
a quelli ho cercato di rubare di più assieme a Raffaele Biancolino. Allenarti
con loro era come andare a scuola ogni giorno perché guardare i loro movimenti,
piuttosto che osservare il loro modo di lavorare mi ha fatto crescere tanto,
anche se con questi qua davanti, magari ho giocato meno. Quello che poteva fare
di più? Facile, ho un nome solo e sono sicuro di non sbagliare: Gigi Castaldo.
Giocatore totale: estro, fantasia, agilità e tecnica sopraffina con un solo
limite, quello di voler rimanere a giocare in Campania per tutta la carriera.
Un top con in testa un problema che ne ha condizionato la carriera, perché uno
come lui sarebbe arrivato molto in alto”.
“Evacuo allenatore? No, grazie. Un legame forte? Quello con
Cuccureddu, juventino nel midollo che ha portato questo suo modo di fare
ovunque sia stato. Me lo ritrovo ad Avellino dove non parto mai titolare, però
succede che ogni volta che mi fa mettere piede in campo, io faccia gol. Capita
la prima, la seconda, la terza volta ma niente oh, panca ad oltranza. Gli chiedo
spiegazioni e lui candidamente mi dice che non gli interessa dei gol che faccio
perché prima di me ci sono Ghirardello, Biancolino e Rastelli. Questa è la
gerarchia e finché ci sono questi tre, io in campo non ci vado. Silenzio e
lavoro. L’anno successivo il mister va alla Torres ed il primo nome che fa per
l’attacco è il mio. Com’è andata? Trentacinque partite e sedici gol. Mica male.
Se vuoi saperlo però un rimpianto ce l’ho, quello di aver incontrato Vincenzo
Italiano praticamente alla fine della mia carriera. Si notava sin da subito una
mentalità diversa, la voglia di provare a giocare bene anche in C, dove
l’estetica non è che sia proprio al centro dei pensieri di molti. Il tempo gli
ha dato ragione ed oggi è un allenatore che ha trasformato la Fiorentina in una
squadra capace di giocarsi due finale in un anno”.
“Il calcio è cambiato? Si.
Prendiamo la mia carriera e dividiamola in due, nel primo decennio la C
era un campionato tosto, competitivo sotto tutti i punti di vista, sia
agonistico che qualitativo, poi se prendiamo il secondo decennio ci rendiamo
conto di come tutti i valori siano calati. Cosa modificherei della mia
carriera? Niente. Magari mi sarebbe piaciuto vincere di più, la fame non è mai
abbastanza e allora penso alle finali perse con le maglie di Viterbese e
Benevento, ma sono sinceramente contento del percorso, della carriera e del
viaggio che mi hanno portato ad essere Felice Evacuo”.
di
Dario Gallitelli