Una vita per
il calcio, segnata da un lungo girovagare su e giù per lo stivale. Gli inizi
all’Inter con la vittoria del campionato Primavera e del Torneo di Viareggio,
da trascinatore e leader consumato. Gli esordi con Mancini in nerazzurro e poi una
lunga sequenza di esperienze: Frosinone, Siena, Palermo, Novara, Spezia, Bari
fino alle ultime due in Svizzera. Francesco Bolzoni ha dovuto fare i conti con
gli infortuni che hanno tracciato una pagina importante della sua carriera.
Quattro
operazioni alle ginocchia, una al tendine d’Achille: un vero e proprio calvario,
ogni volta una ripartenza diversa con la consapevolezza di dover rifare tutto l’iter
riabilitativo. Un anno fa ha dato l’addio al calcio, i medici gli hanno detto
che rischiava le protesi, non poteva più andare avanti così.
Oggi è il collaboratore tecnico di Giuseppe Sannino in Svizzera all’FC Paradiso
e sta studiando per diventare allenatore. Tra una sessione e l’altra, lo abbiamo
intercettato ai microfoni di Calcio Totale.
Sei nato calcisticamente all’Inter,
qual è il momento che ricordi con particolare affetto?
“Esordio a parte, la vittoria del
campionato primavera resta una fase della mia vita che mi porto dentro. Una
squadra a cui nessuno dava un euro, siamo riusciti a fare una bella impresa. Ce
ne sono altri, però se proprio devo scegliere, ti dico quella cavalcata”.
Gli infortuni hanno determinato la
tua carriera, hanno indirizzato in alcuni momenti il corso degli eventi. Ti sei
mai detto: “Ah se non fosse successo, magari…”
“Sì, mi è capitato tante volte. Sai dopo quattro
operazioni al ginocchio e il tendine d’Achille rotto, due domande te le fai.
Più volte mi capitava di pensare: ‘Ma chi me lo fa fare, sei sempre rotto,
basta’. Un anno fa mi sono fermato perché ero a rischio protesi alle ginocchia.
I medici mi hanno detto che non potevo più andare avanti con l’attività
agonistica in Svizzera. E allora, non ho avuto alternative. In tante situazioni
la testa viaggia e devi essere bravo a capire quello che ti sta succedendo”.
Milano, Palermo, Siena, Novara, Bari.
Solo per menzionarne alcune, c’è una città che ti ha lasciato qualcosa sul
piano emotivo e passionale?
“Palermo è stata la più importante, anche per la mia famiglia.
Siamo stati tre anni, abbiamo conosciuto tante persone, ma soprattutto tanti
amici. Dal punto di vista emotivo è una città che ti avvolge. Ho diversi
ricordi legati a Palermo”.
L’allenatore che ti ha segnato di più
dal punto di vista professionale, che ha lasciato maggiori tracce nel
calciatore e nell’uomo Bolzoni. Hai
avuto Antonio Conte a Siena e Roberto Mancini all’Inter.
"Devo dire grazie a Mancini perché mi ha
lanciato nel calcio dei grandi. E’ una tappa che ha segnato l’inizio del mio
percorso. Antonio Conte a Siena mi ha cambiato come giocatore a livello
mentale. E’ un allenatore che ti entra nella testa. E’ un martello pazzesco,
non lascia niente al caso. Ogni minuto è buono per cambiare i difetti tuoi e
per lavorare su quelli degli avversari. Ricordo una partita contro il
Cittadella, al primo tempo eravamo 3-0
per noi. Nell’intervallo mi disse che stavo facendo schifo e che non avrei più
visto campo con lui. Sono stato fuori per quattro settimane, non convocato. Poi
dopo ho ricominciato a giocare. L’anno dopo arrivò Sannino: ‘Ricordo la partita
col Cittadella, hai fatto un partitone’. Eppure Conte aveva visto qualcosa di
sbagliato, forse ero sotto i miei standard, nonostante il risultato della
squadra. Conte parla tanto al gruppo, fa anche colloqui individuali e lì cerca
sempre una chiave per farti migliorare”.
Quali sono gli allenatori giovani che
ti incuriosiscono maggiormente?
“Non mi dispiace il Monza di Palladino,
lui come Juric seguono tanto Gasperini. Ma devo dire che ha rivisitato diverse
cose e ci ha messo del suo. C’è più possesso nella sua idea, porta tanti giocatori
in area, ha già dato un’impronta. All’estero De Zerbi, è l’unico che sta
stravolgendo tutto. Già a Foggia mi dicevano che aveva delle idee pazzesche.
Riesce a far sua la squadra e convincere i calciatori”.
Il compagno più forte in allenamento
e che faticava a confermarsi in partita.
"Dybala. Ho visto fare cose pazzesche
a Palermo, ma nei primi mesi non riusciva ad esprimersi la domenica, poi è
uscito alla grandissima ed è diventato il giocatore che tutti conosciamo. Era
in piena fase di ambientamento. Il più esilarante sicuramente Troianiello”.
Cosa pensi del fenomeno Arabia
Saudita, con tanti calciatori (anche giovani) pronti a sposare una nuova
filosofia di vita.
“In Arabia possono fare delle cose che in Europa noi non
possiamo fare. Ci sono meno controlli, è un sistema diverso dal nostro. Se sei
a fine a carriera o quasi e ti fanno un’offerta irrinunciabile, è giusto fare
certe valutazioni. Da giovane io non l’avrei fatto. Il calcio è anche passione,
nella mia vita ho sempre cercato qualcosa che mi desse stimoli”.
Il tuo sogno da grande, o se ne ha
più di uno.
“Mi piacerebbe fare l’allenatore, adesso
sto imparando da mister Sannino e mi sta aiutando a capire alcuni aspetti, tipo
la gestione del gruppo, la cura della comunicazione. Tante situazioni che da
giocatore non conosci e non ti riguardano”.
Per te che hai affrontato diversi
problemi fisici, tanti momenti bui, come si viene fuori dai periodi di
sconforto e cosa ti senti di dire ai giovani quando pensano di mollare.
“Avere un sogno, un obiettivo ti aiuta a venirne fuori sempre.
Poi la famiglia, ho avuto sempre mia moglie accanto, i miei bambini che non mi
hanno mai fatto sentire solo. Volevo dimostrare sempre qualcosa, mi sono sempre
posto, anche in quei momenti, delle sfide con me stesso. Non volevo darla
vinta, pure da rotto sentivo di rimettermi in piedi per far vedere quello che
avevo dentro. Specie per chi mi giudicava senza sapere”.
di
Mario Lorenzo Passiatore