Educare
formando attraverso l’integrazione e il divertimento. Il ruolo della scuola
calcio senza esasperazioni collaterali, con un focus preciso sulla formazione
dei ragazzi, anche oltre il rettangolo di gioco. E’ la mission dell’Olimpia Francavilla, una realtà
solida che opera in Puglia e lavora soprattutto sui valori della vita, prima che
sui gol e sui gesti tecnici. Lo sviluppo psicofisico del bambino, la socialità,
l’acquisizione di skills traversali utili nella quotidianità.
Una scuola
per la vita e anche per il calcio. E’ una definizione che ci piace utilizzare e
che abbiamo imparato a conoscere nel dettaglio, entrando a stretto contatto con
il panorama Olimpia. Abbiamo avuto il piacere di parlare con la presidentessa Claudia Ligorio che ci ha aiutato a
toccare con mano i capisaldi del suo centro di formazione, sempre in costante
crescita, alimentato da nuovi progetti funzionali per i ragazzi che popolano il
centro sportivo. Sono 350 i tesserati che si alternano sui campi e che vivono
la realtà con grande entusiasmo.
Quanto conta oggi il fattore educativo
in una scuola calcio?
“Dovrebbe essere l’obiettivo principale di tutte le
associazioni sportive. No siamo dei formatori, degli educatori. La società di
oggi ci impone di avere punti di riferimento anche esterni alla famiglia. Nel
corso degli anni proprio la famiglia ha perso forza e vigore e noi dall’esterno
dobbiamo essere pronti a dare dei riferimenti, trasmettere delle certezze ai
ragazzi. Come scuola calcio seguiamo i dettami della Figc, specie quando si
parla di attività di base. Spesso, confondiamo il calcio degli adulti con
quelli dei ragazzi. Se i tecnici e i dirigenti scimmiottano il calcio dei grandi,
anche i ragazzi poi seguono modelli che non sono propriamente della loro età.
Il passaggio chiave che ci piace sottolineare è che dobbiamo formare prima noi
adulti e poi trasmettere ai ragazzi gli esempi corretti”.
Quali sono le principali criticità delle
scuole calcio?
“Se viaggiavamo tutti insieme riusciamo a perseguire lo
stesso obiettivo, serve unità d’intenti e chiarezza nei percorsi. Adesso la qualità
delle scuole calcio si misura sul numero dei tornei vinti, ma l’attività di
base ha altre finalità e sono diverse: lo sviluppo armonico del corpo e del
fisico, prevale l’aspetto della socialità all’interno di un contesto, sono
tanti i fattori che vengono erroneamente definiti di contorno e che in realtà
sono parti necessarie del percorso di crescita. I ragazzi ci guardano,
apprendono e ci imitano. La formazione passa attraverso l’educazione, l’accettazione
della sconfitta e il rispetto dell’avversario. E poi c’è l’aspetto psicologico:
lo sport riesce a toccare corde che neanche la scuola riesce a fare”.
Cosa vuol dire integrazione per una
scuola calcio come la vostra?
“Abbattere le differenze, non tutti vivono delle situazioni
agiate, bisogna calarsi nelle realtà, ogni bambino ha un mondo differente. Mi
piace sempre prendere in prestito le parole di Julio Velasco: ‘Noi educatori
non dobbiamo essere degli industriali ma degli artigiani’. Per noi ogni bambino
ha una storia a sé. Questo resta il nostro piccolo segreto: un’attenzione per
tutti che va oltre il gioco, il campo e tutto ciò che riguarda la disciplina
sportiva”.
Come formate i vostri istruttori?
“Non è un aspetto semplice, cerchiamo di selezionare al
massimo le risorse. Con i genitori facciamo degli incontri formativi, ma non
sempre si entra nel cuore degli adulti, è difficile rompere il classico
retaggio della vittoria. L’idea è di non creare un ambiente ostile intorno al
ragazzo, lo sport trasmette dei valori unici che sono spendibili in ogni
settore, non possiamo permetterci di sprecare queste chance. Talvolta i genitori
cercano modalità educative veloci che poi danneggiano tutti. Invece il percorso
va spiegato passo passo nei momenti opportuni e con i tempi giusti. E’ una
strada da percorrere, non una semplice scelta”.
Ci sono delle giornate dedicate
all’inclusione?
“Fino allo scorso anno abbiamo
partecipato a un progetto: ‘Un calcio alla disabilità’, con i bambini con lo
spettro autistico. Ma non solo, i ragazzi hanno preso parte a una serie di incontri
e poi alla festa finale. Eravamo invitati da un’altra associazione, dalle
prossime stagioni vorremmo ampliare l’offerta formativa per i bimbi
diversamente abili. Io sto per conseguire la laurea in scienza della formazione
primaria, per avere anche le giuste competenze e approcciare nel modo corretto
a questo mondo. Abbiamo tanti bambini che hanno disabilità che non si vedono ad
occhio nudo, i genitori ci raccontano le loro storie. Bambini con difficoltà
nella socializzazione, con sindrome di Asperger, sono tante situazioni che noi
conosciamo nel dettaglio. Ecco perché formare ed educare viene prima di
qualsiasi cosa, ma puoi farlo nel modo corretto solo se conosci la realtà di
ogni bambino. E ognuno vive situazioni e momenti differenti durante il percorso
di crescita”.
Mario Lorenzo Passiatore
di
Mario Lorenzo Passiatore