Storie di Periferia

Educazione e formazione prima dei gol: il progetto Olimpia Francavilla della dottoressa Ligorio

04/06/2025

di Mario Lorenzo Passiatore

Foto: Claudia Ligorio - Presidentessa Olimpia Francavilla

Una scuola calcio che veicola valori trasversali all’interno del contesto sportivo e corre spedita verso un modello globale di educazione, in grado di coinvolgere piccoli e grandi. “Come dice Velasco, noi educatori non dobbiamo essere degli industriali ma degli artigiani. Ogni bambino ha un suo micro-mondo, sta a noi scoprirlo e lavorare nel percorso…”

Educare formando attraverso l’integrazione e il divertimento. Il ruolo della scuola calcio senza esasperazioni collaterali, con un focus preciso sulla formazione dei ragazzi, anche oltre il rettangolo di gioco. E’ la mission dell’Olimpia Francavilla, una realtà solida che opera in Puglia e lavora soprattutto sui valori della vita, prima che sui gol e sui gesti tecnici. Lo sviluppo psicofisico del bambino, la socialità, l’acquisizione di skills traversali utili nella quotidianità.

Una scuola per la vita e anche per il calcio. E’ una definizione che ci piace utilizzare e che abbiamo imparato a conoscere nel dettaglio, entrando a stretto contatto con il panorama Olimpia. Abbiamo avuto il piacere di parlare con la presidentessa Claudia Ligorio che ci ha aiutato a toccare con mano i capisaldi del suo centro di formazione, sempre in costante crescita, alimentato da nuovi progetti funzionali per i ragazzi che popolano il centro sportivo. Sono 350 i tesserati che si alternano sui campi e che vivono la realtà con grande entusiasmo.

Quanto conta oggi il fattore educativo in una scuola calcio?
“Dovrebbe essere l’obiettivo principale di tutte le associazioni sportive. No siamo dei formatori, degli educatori. La società di oggi ci impone di avere punti di riferimento anche esterni alla famiglia. Nel corso degli anni proprio la famiglia ha perso forza e vigore e noi dall’esterno dobbiamo essere pronti a dare dei riferimenti, trasmettere delle certezze ai ragazzi. Come scuola calcio seguiamo i dettami della Figc, specie quando si parla di attività di base. Spesso, confondiamo il calcio degli adulti con quelli dei ragazzi. Se i tecnici e i dirigenti scimmiottano il calcio dei grandi, anche i ragazzi poi seguono modelli che non sono propriamente della loro età. Il passaggio chiave che ci piace sottolineare è che dobbiamo formare prima noi adulti e poi trasmettere ai ragazzi gli esempi corretti”.

Quali sono le principali criticità delle scuole calcio?
“Se viaggiavamo tutti insieme riusciamo a perseguire lo stesso obiettivo, serve unità d’intenti e chiarezza nei percorsi. Adesso la qualità delle scuole calcio si misura sul numero dei tornei vinti, ma l’attività di base ha altre finalità e sono diverse: lo sviluppo armonico del corpo e del fisico, prevale l’aspetto della socialità all’interno di un contesto, sono tanti i fattori che vengono erroneamente definiti di contorno e che in realtà sono parti necessarie del percorso di crescita. I ragazzi ci guardano, apprendono e ci imitano. La formazione passa attraverso l’educazione, l’accettazione della sconfitta e il rispetto dell’avversario. E poi c’è l’aspetto psicologico: lo sport riesce a toccare corde che neanche la scuola riesce a fare”.

Cosa vuol dire integrazione per una scuola calcio come la vostra?
“Abbattere le differenze, non tutti vivono delle situazioni agiate, bisogna calarsi nelle realtà, ogni bambino ha un mondo differente. Mi piace sempre prendere in prestito le parole di Julio Velasco: ‘Noi educatori non dobbiamo essere degli industriali ma degli artigiani’. Per noi ogni bambino ha una storia a sé. Questo resta il nostro piccolo segreto: un’attenzione per tutti che va oltre il gioco, il campo e tutto ciò che riguarda la disciplina sportiva”.

Come formate i vostri istruttori?
“Non è un aspetto semplice, cerchiamo di selezionare al massimo le risorse. Con i genitori facciamo degli incontri formativi, ma non sempre si entra nel cuore degli adulti, è difficile rompere il classico retaggio della vittoria. L’idea è di non creare un ambiente ostile intorno al ragazzo, lo sport trasmette dei valori unici che sono spendibili in ogni settore, non possiamo permetterci di sprecare queste chance. Talvolta i genitori cercano modalità educative veloci che poi danneggiano tutti. Invece il percorso va spiegato passo passo nei momenti opportuni e con i tempi giusti. E’ una strada da percorrere, non una semplice scelta”.

Ci sono delle giornate dedicate all’inclusione?
“Fino allo scorso anno abbiamo partecipato a un progetto: ‘Un calcio alla disabilità’, con i bambini con lo spettro autistico. Ma non solo, i ragazzi hanno preso parte a una serie di incontri e poi alla festa finale. Eravamo invitati da un’altra associazione, dalle prossime stagioni vorremmo ampliare l’offerta formativa per i bimbi diversamente abili. Io sto per conseguire la laurea in scienza della formazione primaria, per avere anche le giuste competenze e approcciare nel modo corretto a questo mondo. Abbiamo tanti bambini che hanno disabilità che non si vedono ad occhio nudo, i genitori ci raccontano le loro storie. Bambini con difficoltà nella socializzazione, con sindrome di Asperger, sono tante situazioni che noi conosciamo nel dettaglio. Ecco perché formare ed educare viene prima di qualsiasi cosa, ma puoi farlo nel modo corretto solo se conosci la realtà di ogni bambino. E ognuno vive situazioni e momenti differenti durante il percorso di crescita”.

Mario Lorenzo Passiatore

di Mario Lorenzo Passiatore

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