Speravamo di aver
trovato il nuovo dieci della Nazionale, perché uno così non capita di vederlo
ogni giorno. A Firenze aveva il 49 sulla schiena, come l’anno di nascita di suo
papà. E chissà, se non fosse stato per quelle ginocchia fragili tracciate da
tre operazioni gravi, parleremmo di un giocatore meraviglioso in grado di
regalare sprazzi di classe e genialità. A modo suo lo è stato comunque, pur non
avendo quasi mai avuto la fortuna al suo fianco. E’ stato il campione triste
che ha sempre sorriso alle ostilità della sua vita sportiva.
Ci sarebbe piaciuto
rivivere la carriera di Pepito senza incidenti, senza tormenti e con meno
lacrime. Quelle non sono mai mancate, tremende e puntuali dopo ogni crack.
Rossi fa parte di quei giocatori trasversali, amati a prescindere dai colori,
in grado di lasciare sempre un messaggio positivo nonostante il dramma
sportivo: “Sudore, lavoro, dolore. Ripeto”. E’ tutta qui la sua carriera, in un
messaggio scritto dal suo profilo Instagram mentre si rimetteva in moto in
palestra nel 2018. Un continuo restart, senza mai perdersi d’animo. Tra una
pacca sulla spalla e un nuovo in bocca al lupo ci siamo privati, un po’ per
sfiga, un po’ per destino, di un giocatore enorme.
“Ho visto gente piangere a fine partita”
Quel 20 ottobre 2013 mise (quasi) da solo in ginocchio la Juve di Conte, che
pensava di aver blindato la partita con il doppio vantaggio di Tevez e Pogba. E
invece nei 30 minuti finali si scatenò il ciclone Pepito sul Franchi. Tre gol
suoi e uno di Joaquin per ribaltare una gara folle: dallo 0-2 al 4-2 finale.
La Fiorentina tornò in
partita con il rigore al minuto 61, il pari maturò sempre dal mancino di Rossi
(preciso ma non irresistibile) che da fuori area beffò Buffon al 76’. Pepito
riaccese la luce al Franchi che tornò a saltare, dopo un primo tempo vissuto
quasi in silenzio. La Juve era sotto shock e dopo appena due minuti, Joaquin su
suggerimento di Borja Valero portò avanti la viola: impietrito Antonio Conte in
panchina. Fu delirio totale, Andrea Della Valle in tribuna non credeva ai suoi
occhi. I bianconeri nel finale rischiarono di pareggiarla, ma sul contropiede
da centometrista di Cuadrado fu ancora Pepito a metterla in buca. Poker finale,
tripletta dell’italo-americano, letteralmente sommerso dai compagni di squadra.
La Fiorentina non batteva la Juve al Franchi da 15 anni, dal 13 dicembre 1998 con
la rete di Gabriel Omar Batistuta.
Per una volta le
lacrime non furono di Pepito, ma quelle di chi gli stava vicino. Di chi era
allo stadio, in curva e in tribuna, per aver regalato mezzora di lucida follia
al popolo viola.
La lettera d’addio al calcio
“Oggi annuncio il mio ritiro da questo bellissimo
sport – scrive Rossi –. È stato un viaggio indimenticabile. Dal correre dietro
a un pallone da bambino in giardino e avendo il mio papa come allenatore, al
giocare ai massimi e livelli negli stadi più belli che il mondo del calcio sia
in grado di offrire, avendo come compagni e avversari giocatori tra i migliori
al mondo. Mi sento eternamente grato per aver potuto giocare a questo gioco. La
mia vita è realizzata. Ho sempre desiderato di essere il miglior giocatore
possibile e ho dedicato ogni mio grammo e versato sangue, sudore e lacrime per
questo gioco. Dico basta dopo aver fatto tutto ciò che era possibile per
raggiungere quelli che erano i miei obiettivi. È stato un viaggio unico, con
tanti alti ma anche alcuni bassi. Quei momenti negativi – mi riferisco
soprattutto agli infortuni – non mi hanno mai scalfito. I miei obiettivi erano
più forti di qualsiasi ostacolo mi si parasse davanti. Non ho smesso di sognare
nemmeno quando sul mio cammino ho fatto i conti con cose che non potevo
controllare. Amo talmente tanto questo sport che non sarei mai stato capace di
arrendermi. Per questo sto scrivendo questa lettera con il cuore pesante ma
anche un sorriso sulle labbra. Sono fiero di ciò che ho raggiunto”.
I ringraziamenti
“Devo dire grazie alla mia famiglia che, con il suo
sostegno e i suoi sacrifici, mi hanno dato la forza raggiungere traguardi che
credevo irraggiungibili. Grazie anche ai club per cui ho giocato: è stato un
onore vestire le vostre maglie con orgoglio e dando sempre il massimo. Grazie
per la fiducia riposta in me. Grazie anche ai miei compagni per le tante
battaglie insieme e i momenti condivisi in campo. Siete stati figure importanti
per me e mi avete sempre spronato a tirare fuori il mio meglio. Grazie anche ai
tifosi. Senza di loro questo gioco non sarebbe così bello. Mi avete sostenuto
in questi 19 anni e abbiamo condiviso momenti che resteranno unici per tutta la
vita.”
di
Mario Lorenzo Passiatore