A Lecce ha
scritto una pagina indelebile che resta custodita come un vero cimelio da
esibire con orgoglio. Nella stagione 1988-1989
ha conquistato il nono posto in Serie A e, ancora oggi, resta il miglior
piazzamento di sempre nel massimo campionato. Carlo Mazzone è stato molto di più di un dato statistico, ha
lavorato con e per la gente, ha costruito e rafforzato i rapporti umani, ha
creato vere e proprie sinergie che si sono protratte negli anni.
L’allenatore,
il padre, il fratello maggiore e l’uomo che più di tutti sapeva relazionarsi e
toccare le corde giuste anche in situazioni emotive precarie. Un cuore enorme,
in grado di mettersi sempre nelle vesti dell’interlocutore: del giovane, del
calciatore e del suo staff. Peppino
Palaia, storico medico sociale del Lecce, con quasi quarant’anni di
militanza nel club, ha raccontato attraverso le pagine del nostro libro “Sulla
giostra di Zeman”, l’avventura al fianco di Carletto Mazzone.
“E’ stata un'altra grande persona che
abbiamo avuto il piacere di avere a Lecce. Durante la gara era inavvicinabile,
viveva tutto in maniera amplificata. Riusciva a trasferire una grande carica
umana e agonistica al gruppo. Una persona dal cuore grande, ci sono delle cose
che ricorderò a vita, perché più che l’allenatore ti raccontano l’uomo. Ricordo
un episodio del giovane Francesco Moriero. La mamma fu operata di colecisti e
il papà era fuori per motivi di lavoro. Per tutto quel periodo lo prese sotto
la sua ala protettiva e lo portò all’Hotel Tiziano con lui. Viveva con il
mister. <<Peppì, mo’ chiamo i ragazzini che ho mandato in tribuna e me
l’alliscio un po’. Se noi poi ci rimangono male quando me servono. Così invece
me danno tutto>>. Questo era un po’ il suo modo di tenere unito il
gruppo, di rendere partecipe i più giovani allo stesso modo dei veterani”.
Fare del
bene. Era più di una missione, quasi un insegnamento da tramandare ai suoi
calciatori. Lo dimostrava con l’esempio, prima ancora delle parole. Lo
testimonia l’aneddoto delle mance, un gesto di buongusto che aveva introdotto a
Lecce, così come gli assegni ai magazzinieri e a tutta la gente che lavorava
silenziosamente dietro le quinte. I piccoli gesti dal grande valore morale.
“Spesso quando eravamo fuori in
trasferta, proponeva ai giocatori di lasciare le mance ai camerieri. Raccoglieva i soldi dei ragazzi e poi lui
metteva il doppio o il triplo dei calciatori. A Natale ho visto firmare assegni
da 500 mila lire, era il suo modo di omaggiare i magazzinieri per tutto il
lavoro che facevano durante l’anno. Carletto era così, non potevi non
amarlo. Ho costruito un rapporto sano con lui, mi ha invitato ai matrimoni dei
figli e della nipote. Era un personaggio di un altro calcio, che viveva di
sguardi, di sorrisi, di contatti umani”.
di
Mario Lorenzo Passiatore