La gente ha
capito il momento, anche più di chi sta provando ad apporre nuove
giustificazioni post. Il tifoso ha messo in lista tutte le difficoltà, ma con
ragionevolezza ha tracciato anche una linea profonda. La Juve da agosto a
novembre aveva già messo in fila 7 sconfitte stagionali: 5 in Champions e 2 in
campionato. Fuori dalla grande Europa con soli tre punti con il Maccabi, non
era mai successo nella storia bianconera.
Prima della
sosta Mondiale, la fotografia della Serie A era la seguente: Napoli in testa
con 41 punti, Juve a 10 lunghezze dalla capolista, è qui che i bianconeri buttano via metà stagione e ne compromettono l’altra. In questa fase non c’erano sentori di eventuali penalizzazioni. Indagini in corso sì, ma non ancora
certezza sui tempi. I bianconeri sono tagliati fuori dalla corsa al titolo e
dalla Champions, non per fattori esterni ma per responsabilità strettamente di
campo. Le dimissioni in blocco del CDA arrivano il 28 novembre 2022, in pieno
Mondiale e a campionato fermo.
I meriti e le responsabilità di Allegri
Se non si
fanno le opportune valutazioni, dividendo la stagione in due tronconi (pre e
post Mondiale), il rischio è quello di raccontare la vicenda in maniera
frammentaria, poco chiara e addirittura non veritiera. I meriti dell’Allegri
2.0 partono da gennaio, quando la squadra non ha più un management vero, è in
balia delle carte giudiziarie e arrivano le prime sanzioni che interessano la
classifica.
Allora sì,
il lavoro diventa triplo e tanto gravoso perché è tutto nelle mani della
gestione tecnica. La gente ha capito il momento e le difficoltà di tenere su
squadra, spogliatoio, umori e conferenze pre e post, senza un referente vero in
dirigenza. Da solo.
Sono
diciassette le sconfitte della Juve in tutta la stagione, il valore numerico è
forte, pur incastrando i bianconeri al terzo posto (non considerando i dieci
punti sottratti e restando meramente al campo). Sul rettangolo verde, oltre al
dato, nell’analisi vengono fuori le modalità: come la Juve è arrivata. Tra
infortuni e tante defezioni che ne hanno caratterizzato la stagione, la squadra
negli ultimi due anni non ha mai avuto un’identità precisa sul piano del gioco.
Non è mai cambiata l’interpretazione delle
partite o la chiave tattica. Attesa, baricentro basso e ripartenza. Qui le
responsabilità delle gestione tecnica sono evidenti, nell’incapacità di dare
un’alternativa all'unica proposta di gioco. Per i più distratti, da agosto a
novembre e, ancora prima l’anno precedente, c’era tutto il tempo di
sperimentare e testare con grande serenità, senza l’interferenza di fattori
esterni. Non si è visto mai nulla di diverso in campo.
La comunicazione con i media e i calciatori
Poi c’è il
cortocircuito comunicativo con una parte dello spogliatoio. Non possono passare
sottotraccia le parole di Bonucci, Danilo, Rabiot e Szczesny. In momenti
diversi hanno spesso dichiarato l’opposto del loro allenatore. “Dobbiamo giocare meglio la palla, bisogna
fare di più, dobbiamo gestire meglio il possesso, Chiesa in quella posizione è
difficile che possa aiutarci e far salire la squadra. Alla Juve due anni così,
senza trofei, sono un fallimento”. Sono tutte lucine rosse che vengono
dall’interno del gruppo a microfoni accesi, una sorta di pensiero a voce alta,
condiviso e lasciato tra un post partita e l’altro.
Allegri l’ha
presa come un'invasione di campo dei suoi uomini e allora: “E’ un momento in cui dobbiamo stare zitti tutti”, oppure “Szczesny non si esprime bene in italiano”.
Il richiamo all’ordine fa intuire un malessere interno e di campo. Perché nel
marasma generale, a certe parole non è stato dato il giusto peso. Ma ci si
accorge che alla Juve non si è mai vista la versione migliore di se stessa.
Non è in discussione
il valore dell’allenatore che ha vinto e rivinto più volte, ma concedeteci il
beneficio del dubbio in questo momento storico. Non è forse la figura adatta
oggi, per ridare un’anima in campo nella fase di ricostruzione di un progetto.
Nella gestione ha dimostrato grandi doti, adesso la Juve ha bisogno di una nuova
ripartenza e di ristrutturarsi dal punto di vista dirigenziale e tecnico.
di
Mario Lorenzo Passiatore