Vecchi
vizi, screzi, storie e aneddoti sempre attuali. Con Roy Keane era impossibile annoiarsi all’interno dello spogliatoio. Un personaggio schivo, riservato, ma
tremendamente frontale con i compagni, l’allenatore e lo staff. E’ stato uno
dei capitani più longevi della gestione Ferguson, una vera icona dello United,
prima di litigare ed essere messo alla porta dall’allenatore scozzese. Di
storie al limite della sopportazione ne è piena la sua biografia, costruita sui
rapporti umani e su qualche tackle di troppo anche oltre il rettangolo verde.
Come la
scazzottata con Peter Schmeichel, un altro che i conti li regolava con e senza
guanti. Insomma, uno spogliatoio forte, con tanti leader pronti a contendersi
la scena. Roy non è mai stato un professionista modello, a The Overlap
del canale SkyBet con Gary Neville, ha raccontato
alcuni episodi che ha segnato la sua carriera. Il rapporto con l’alcol, per
esempio, uno dei piaceri della sua strana vita da “atleta”. Certamente un
comportamento che non ha mai digerito Ferguson.
“Più di
una volta Alex Ferguson mi ha preso da parte e mi diceva tipo ‘eri a Manchester
alle 2.30 e hai preso un taxi’ e io rispondevo di sì ma che non avevo violato
nessuna regola delle 48 ore prima della partita sui nostri contratti. Alla fine
litigavo con lui e mi chiedeva quanti drink avessi bevuto. io gli mentivo. ‘10
o 11 bottiglie’”.
La
dipendenza dall’alcol è stato un incubo per chi doveva gestirlo. Da capitano
era tenuto a dare l’esempio ai più giovani, a trasmettere i principi del club.
Ma per Keane era un modo per ritrovare se stesso, per combattere lo stress e vivere meglio. Strano, ma vero.
“Perché non avrei
dovuto? Quando avevo 21-22 anni e giocavo per il Manchester United, quello era
il mio modo di rilassarmi. Ho litigato con il mister un paio di volte a
riguardo. Alcuni hanno iniziato a giocare a golf o a biliardo; il mio modo di
rilassarmi era uscire e divertirmi. Pensavo di dover uscire e bere più alcol
possibile, poi giovedì mattina mi voltavo e pensavo che sarebbe stato meglio
prepararsi per sabato. E quella era la vita”.
di
Mario Lorenzo Passiatore