Quattro
anni alla Roma, sette all’Inter. Fu Fabio Capello a volere fortemente Cristian
Chivu nella stagione 2003-2004. Prelevato dall’Ajax per 18 milioni di euro, si
rivelò un acquisto di valore in grado di elevare il tasso tecnico dell’intera
difesa. Capello ci provò anche per il giovanissimo Ibra ma non riuscì a
portarlo nella capitale, se lo ritrovò più avanti quando approdò alla Juve nel
2004-2005.
Storie di
mercato, di intrecci di vita e di trasferimenti che avrebbero potuto cambiare
il corso degli eventi. Chivu è molto legato a Roma e alla Roma, ma ci sono
delle cicatrici ben radicate che hanno segnato in maniera importante il suo
trascorso con la maglia giallorossa. I fischi, la paura di sbagliare, l’aiuto
dello psicologo e il timore di finire in un loop senza fine. Si è raccontato
con pochi filtri a “Cronache di spogliatoio”.
"Mi ero
creato una corazza – spiega Chivu - ero io contro di me, contro il mondo. La
sfida è sempre stata quella di cercare soluzioni nonostante le difficoltà,
senza mai chiedere aiuto. Poi ho avuto bisogno di aiuto perché da solo non
riuscivo a uscire da quella situazione, a quel punto ho chiesto aiuto a uno
psicologo. C’era stata una situazione a Roma che mi ha fatto barcollare, un po’
per l’ingiustizia che io sapevo che mi era stata fatta”.
Un’intervista
travisata e appesantita da un titolo troppo forzato che creò molteplici
problemi gestionali al calciatore. "I
problemi nascono in seguito a un’intervista fatta dopo che Capello era andato
alla Juve. Mi chiedono se mi sarebbe piaciuto lavorare nel futuro con lui che
mi aveva portato in Italia, io dissi che era un grande allenatore e che mi
avrebbe fatto piacere. Il titolo il giorno dopo fu ‘Chivu vuole la Juve’.
Andavo in campo ed ero fischiato da 80mila persone. Mi lussai un alluce a
Genova contro la Samp, ero fermo con le stampelle. Si giocava l’ultima prima
della sosta natalizia contro il Chievo.
Spalletti
mi chiese se potevo giocare perché non aveva più difensori, gli dissi che per
lui l’avrei fatto ma che avevo bisogno di infiltrazioni. E lì venni fischiato,
ho pianto per l’ingiustizia. Poi in quel periodo facemmo undici vittorie di
fila culminate col derby, a quel punto poi hanno dimenticato tutto. Ma io in
quel periodo andavo dallo psicologo, a fine partita vomitavo per lo stress e
per l’ansia, non riuscivo a uscirne e ho chiesto aiuto".
di
Mario Lorenzo Passiatore