Le parole in conferenza raccontano un’altra gara e forse una
storia completamente differente. Quasi mai vissuta da chi era in campo, però
venduta con grande coraggio a microfoni accesi nel post adrenalina della
partita. Sì, proprio quello che non si è visto mai: il coraggio di provarci,
almeno una volta. La Juve spera ma non crea, resta a galla ma non punge, tiene
viva la speranza qualificazione senza affondare fino in fondo. E’ il paradosso di
chi resta con il colpo in canna e pensa di esserci pure andato vicino.
Al contrario, il colpo dell’Inter sembra quasi un compitino,
nella gestione di una partita solida, mai in discussione, ma pericolosamente
aperta (solo per il punteggio) fino alla fine. Inzaghi e soci meritatamente in
finale, di fronte a pochissima Juve per novanta minuti. Neppure un sussulto,
una reazione, un’ammonizione per sporcare condotta e partita. Anzi, sì, solo
una, quella di Locatelli. Sporadica, casuale, in linea con la prestazione generale. Sulla bilancia e alla lavagna ci finiscono:
atteggiamento, formazione, cambi e motivazioni.
E’ il pass per una finale, quella di una stagione davvero travagliata. Un motivo in più per dare una sterzata verso un trofeo. Prima però bisogna
mettersi in moto, i bianconeri faticano ad accendersi, a rispondere al primo
acuto di Di Marco. La formazione senza punte, con due esterni per spostarla sul
piano della verticalità: ecco la carta Bonucci, per provare ad imbeccarli con
precisione.
Un altro, però, che non si vedeva da tanto, troppo tempo.
Sostituito per crampi nella ripresa, insomma difficile sperare in qualcosa di
diverso nel pre-match. Avanti due isole nel deserto, Chiesa e Di Maria non si
vedono, non si sfiorano e non si sentono.
Quello di Bonucci al termine della gara sembra più un
pensiero a voce alta: “Con Chiesa punta è difficile tenere palla avanti in zona
offensiva”. Non che l’abbia studiata per pungere qualcuno, ma forse gli è
proprio partita in maniera secca, diretta e quasi inconsapevole. Al netto degli
infortuni, la carta era solo una: Arek Milik. Anche lui, però, da gestire nella logica dei novanta minuti.
Allegri l’aveva preparata in un altro modo (è chiaro), ma la
Juve non si è vista, né prima né dopo i correttivi nella ripresa. Troppo
remissiva, troppo bassa, troppo poco, troppo tutto nel contesto generale di una
gara che non ha avuto contraddittorio. E neppure chi ha recitato la sua parte
ha dovuto alzare fin troppo la voce.
Quanto basta, quanto serve, pur
esponendosi (l’Inter) alla palla inattiva, al calcio piazzato che poteva
rimescolare tutto in maniera fortuita e casuale. “Noi bene sessanta minuti, ci
siamo addormentati all’inizio”, è forse un altro film di cui in pochi avranno
memoria nel medio lungo periodo. E’ l’altra partita vista da Allegri, venduta
con grande coraggio, ma con poca lucidità e pochissima autocritica.
di
Mario Lorenzo Passiatore