Siamo abili
oratori nel risolvere i problemi degli altri e i peggiori gestori di noi stessi. In sede di
calciomercato funziona esattamente così. In Italia si continua a pescare dallo
stesso mazzo e dai soliti intermediari che fanno il giro dei tavoli. Sbirciate
sui giornali, date un’occhiata ai nomi, sono gli stessi per tanti, quasi per
tutti.
Giocatori
riproposti nuovamente a prezzo di saldo, con un pacchetto di commissioni da
capogiro a più interlocutori. “Non ci sono soldi”, ma siamo tra quelli che
pagano meglio di tutti i procuratori. Anche di più della Premier League, se
consideriamo il volume d’affari dei loro club.
Cosa vuol dire?
Un appiattimento globale di idee, spesso le intuizioni sono suggerite dagli operatori.
Sono poche le società che fanno scouting vero (quasi mai club di vertice), che
conoscono i calciatori e che hanno dimezzato i costi dei cartellini. Per il
resto si naviga a vista, in base alle opportunità, ai saldi, agli agenti
compiacenti e agli affari low cost. E ci sono tante big del nostro calcio che
di fronte allo scenario “Non abbiamo più risorse”, continuano a lavorare nelle
stessa identica maniera di quando dominavano il mercato interno.
Se sono
cambiate le condizioni, deve cambiare anche la strategia. Eppure non sembra
essere così. Nel mercato 2022 la nostra Serie A ha investito una cifra record
in commissioni: quasi 206 milioni di euro. Uno sproposito se rapportata alla
crisi del nostro movimento e alle operazioni concluse: prestiti con diritto o
obbligo al raggiungimento di determinate condizioni. Insomma, tante transazioni
fantasiose.
E’ vero, la
Premier League e il mercato arabo (non disciplinato) hanno cambiato gli equilibri. Ma
chi continua a perseverare con le sue idee in uno scenario radicalmente mutato
non fa altro che sbattere sugli stessi problemi ogni anno. E questo disco lo
conosciamo a memoria. Un decimo delle risorse che sono sperperate in procure e
commissioni, sono distribuibili nelle struttura del club per creare una rete di
scouting? Costa tanto tempo è vero, ma certamente meno soldi e forse un
prodotto finale diverso.
Senza fare
troppa retorica, possiamo dire che si è esagerato con le deleghe, con i pareri
degli esterni e con le relazioni dei consulenti. Si è persa di vista una cosa:
reclutare i ragazzi e arrivare prima degli altri. Il direttore sportivo, ormai, si affida e decide di rado. Quando hai meno risorse devi provare a sviluppare un’organizzazione diversa e cambiare obiettivi. Altrimenti se
pretendi di competere con i grandi mercati, alla fine peschi sempre alla voce “low
cost” e dai giocatori in cerca di rilancio.
Torniamo a scovarli e lanciarli noi: Empoli,
Atalanta, Sassuolo, Napoli e Lecce hanno capito come si fa. A volte per
necessità, a volte per scelta (i settori giovanili). Chi l’ha detto che non è un modello replicabile
per le big? Anzi, dovrebbero essere le prime a strutturarsi e programmare,
specie in assenza di grandi capitali. Siamo cascati con due piedi nelle deleghe, nelle grandi commissioni e nelle consulenze esterne iper onerose.
di
Mario Lorenzo Passiatore