Fantasia
al potere. C’era una volta il numero dieci in grado di svariare liberamente sul
tutto il fronte offensivo, per creare gli spazi e trovare i tempi dell’ultima
giocata. Quella decisiva, in grado di accendere la partita o persino di
risolverla. Ogni squadra aveva il suo leader tecnico e carismatico, l’uomo a
cui dare la palla ovunque e in qualsiasi momento.
In queste ore, Gianfranco Zola che ha
incarnato buona parte di quei valori, ha rilasciato una lunga intervista al
Corriere della Sera, dove ha provato ad analizzare l’evoluzione del numero
dieci dall’arrivo di Sacchi in poi. Secondo l’ex fantasista azzurro, sono cambiate
tante cose anche in virtù delle richieste degli allenatori che hanno
disciplinato ogni momento della partita, limitandone l'estro.
"È un
processo iniziato alla fine degli anni Novanta con Sacchi. Con lui si è
cominciato a dare molto meno spazio alla creatività e molto di più
all’organizzazione. Prima tutte le squadre erano strutturate allo stesso modo,
con difese molto forti e marcatori capaci di annullare gli avversari. I due
centrocampisti che recuperavano la palla la davano al numero dieci, o comunque
al regista, che creava gioco, inventava l’assist per il bomber. Si lavorava
molto per difendere, recuperare e impostare. Con Sacchi si è arrivati a una
struttura più rigida, con i quattro centrocampisti, il 4-4-2, si faceva un
grande pressing, tutti partecipavano alla manovra. Il fantasista doveva
rientrare rigidamente in uno schema tattico predefinito. Non era come prima,
quando il numero dieci era libero di andare dove voleva, seguire la palla,
impostare la manovra".
Dalla
teoria all’esempio, Zola ha riportato la sua esperienza e quella di Roberto
Baggio. Entrambi hanno fatto fatica ad adattarsi alle richieste dell’ex tecnico
della nazionale italiana. E Zola non ne fa certamente mistero.
"Io ci sono
passato in mezzo, ero uno di quei giocatori che per inserirsi nel modello
tattico di Sacchi doveva trovare un ruolo che però non era il mio: o facevo
l’esterno di destra o di sinistra o la seconda punta. Anche Roberto Baggio si è
trovato nella stessa condizione. Ora, ancora di più, tutti cercano di
attaccare, di mantenere il possesso di palla, ma in un contesto tattico molto
rigido e di conseguenza il numero dieci o diventa un sette, un undici o un
finto nove. Il dieci non esiste più".
di
Mario Lorenzo Passiatore