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Quando Piqué rischiò la vita con Roy Keane: “Paura? Mi sono cagato sotto”

di Mario Lorenzo Passiatore

Foto di Independent.ie

Pubblicato il 23/02/2023

L’ex calciatore del Barcellona ha raccontato un aneddoto abbastanza forte durante l’esperienza a Manchester. Guai a far arrabbiare Keane, Piqué ne sa qualcosa: “È stata un'esperienza incredibile, mi sono quasi cagato sotto, ma è stata una lezione importante…”

Poche regole (non scritte) che valgono per tutti in certi spogliatoi, dove l’unica cosa che conta è rigare dritto. Poco rumore, zero chiacchere e rispetto dei momenti, alcuni sono sacri, lì non bisogna sgarrare mai. Specie quando sei giovane e hai appena messo piede in un gruppo nuovo. Piqué a Barcellona ha mosso i primi passi, a Manchester (sponda United) ha conosciuto la via del professionismo senza grande fortuna, per poi tornare in Catalogna per scrivere un pezzo di storia del club.

Manchester, Alex Ferguson e Roy Keane. Due uomini e un club. Di fatto Piqué non si è mai preso con l’ambiente Red Devils. Vuoi per la giovane età, vuoi per il modo diverso di concepire il calcio e, soprattutto, le regole. In questi giorni ha raccontato a The Players' Tribune, quando arrivò a Manchester.

"Era una delle mie prime partite a Old Trafford, eravamo negli spogliatoi a prepararci, io ero molto nervoso. Immaginatevi la scena, avevo diciotto anni ed ero in quello spogliatoio piccolissimo mentre indossavo i calzini vicino a Ruud Van Nistelrooy, Ryan Giggs e Rio Ferdinand. Volevo solo essere invisibile, ero lì e pensavo ‘fai il tuo lavoro e cerca di passare inosservato’”.

Accanto a Piqué c’era un uomo dalla leadership innata e dalla pazienza misurata. “Quindi siamo tutti seduti che aspettiamo il mister e io sono praticamente accanto a Roy Keane. E lo spogliatoio è così piccolo che le nostre gambe quasi si toccano. Non c’è praticamente spazio. Tutti stanno zitti ma a un certo punto si sente questa piccola vibrazione. Molto leggera. E Roy comincia a guardarsi attorno”.

Roy Keane perde la testa
La chiamata nel momento sbagliato, con il peggior compagno di avventura di lato. Un pizzico di sfiga e una buona dose di inesperienza e superficialità. Comincia lo show, a caccia del colpevole. Del giocatore che aveva lasciato il cellulare acceso prima di una partita.

 “Mi rendo conto che è il mio. Ce l’ho nei pantaloni, con la vibrazione, nella borsa dei vestiti appesa dietro la testa di Roy. Ma Roy non capisce da dove viene il rumore e comincia a guardarsi attorno come un pazzo. Comincia a urlare ‘di chi è il telefono?’. Silenzio. Lo chiede di nuovo. Silenzio. Lo chiede una terza volta. ‘Di. Chi. C***o. È. Il. Telefono?”. E alla fine, ho parlato, come un ragazzino. Molto piano ho detto ‘scusate, è il mio’. Roy è impazzito di fronte a tutti.  È stata una cosa incredibile, mi sono quasi cagato sotto, ma è stata una lezione importante”.

di Mario Lorenzo Passiatore

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