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La depressione di un ex Arsenal: “Guidavo fino al campo e non ricordavo come ci ero arrivato”

di Mario Lorenzo Passiatore

Foto di Arsenal.com - Goal

Pubblicato il 01/02/2023

Ha giocato per pochi mesi anche in Italia e si è imposto in Premier League con le maglie di Arsenal e City. Nel 2008 ha vissuto l’incubo della depressione: “Certi giorni mi sentivo come un robot. Devo ringraziare Neil, uno degli psicologi del club. Una sera…”

Essere un campione dello sport e all’improvviso vedere nero. La depressione ti prende, ti stravolge in maniera totale e lascia delle scorie importanti per un determinato periodo di tempo. Bacary Sagna, ex terzino di Arsenal e Manchester City, con un trascorso in Italia con la maglia del Benevento nel 2018, seppur per pochi mesi.

Ha raccontato al sito dell’Arsenal di aver affrontato un periodo davvero delicato durante la permanenza londinese nel lontano 2008. La morte del fratello e poi un grave infortunio lo hanno catapultato in un’altra dimensione. Non riusciva più a venirne fuori, si sentiva totalmente smarrito e assente da ogni dinamica sociale. Al punto da rimuovere anche le semplici azioni giornaliere dalla sua memoria.

“È difficile da descrivere, ma sentivo che non andava bene nulla. Nella mia testa sapevo esattamente quello che avrei potuto dare alla squadra, ma il mio corpo non ci riusciva. Certi giorni mi sentivo come un robot. Guidavo fino al centro sportivo e non mi ricordavo neanche come ci ero arrivato. Non ne ho mai parlato con nessuno. Le persone che mi conoscono sanno che sono un tipo silenzioso, non sono uno che si fa troppo vedere. Arrivo, mi alleno, faccio il mio meglio e poi se devo farmi avanti lo faccio. Ma sono un tipo tranquillo e non chiederei mai aiuto”.

I compagni di squadra si erano accorti del black out emotivo che aveva travolto Sagna e hanno provato in tutti i modi a sostenerlo. Un giorno è intervenuto uno specialista dello staff che lo osservava durante le sessioni di allenamento, così ha provato a interagire con Sagna: un uomo che era diventato l’ombra di sé stesso.

“Devo ringraziare Neil, uno degli psicologi del club. Una sera, prima di una partita, mi ha detto; 'Posso parlarti? Ho notato che ci sei, ma è come se non ci fossi. Che ti passa per la testa?'. E quindi abbiamo parlato, ho capito che era ora di far uscire tutto. E piano piano sono tornato me stesso. Sono tornato ad avere fiducia nei miei mezzi, a essere decisivo e a giocare meglio. Il calcio prima era tutto per me, ma ora, una volta che sono finiti i 90 minuti, ci sono altre cose di cui parlare".

di Mario Lorenzo Passiatore